Riqualificazione economica e sociale del territorio attraverso il miglior utilizzo degli immobili pubblici

Aversa – È un dato acquisito, ormai, che l’attuale crisi del settore immobiliare sia di natura strutturale, e abbia una durata più lunga dei precedenti cicli immobiliari. Si tratta di una crisi che ha subito e subirà gli effetti della recessione in atto e della più generale situazione di rallentamento della crescita in ambito europeo.

I dati più recenti sono ancora, nel loro complesso, negativi e solo in tempi lunghi è possibile sperare in una ripresa. Forse occorre iniziare a pensare che la ripresa di questo settore (come di altri) dovrà avvenire su basi diverse dal passato. Tra i settori più colpiti vi è quello del terziario-direzionale, questo non solo per la “mortalità” e le scelte di delocalizzazione delle imprese italiane e di quelle estere con sede in Italia, ma anche per una carenza qualitativa del portafoglio immobiliare, anche privato, destinato ad uffici. Preparare un nuovo ciclo vuol dire migliorare la qualità del prodotto intervenendo sul processo di produzione, rendere flessibile e differenziare l’offerta rispetto alle esigenze della domanda. In che modo ci si può preparare, come settore pubblico?

Un passaggio essenziale per una migliore gestione del patrimonio pubblico, tema introdotto in modo sistematico e complessivo solo di recente, è quello della ricognizione completa di tutti gli immobili di proprietà pubblica anche degli enti territoriali, nella loro natura oggettiva, per le loro funzioni, per lo stato manutentivo.

Il patrimonio immobiliare pubblico è molto differenziato e la sua gestione risente, in molti casi, ancora di una classificazione che risale al codice civile del 1942 che crea, oggettivamente, una difficoltà di distinzione esatta tra la natura di questi beni (demaniale o patrimoniale) e la loro possibile funzione (per usi pubblici o “commerciali”).

Questo patrimonio va gestito e reso economicamente efficiente, tenendo conto delle limitazioni, anche legislative, che spesso non consentono, ma forse non è neppure richiesto, di ottenere rendimenti di “mercato”, dovendo rispettare l’obbligo di rispondere ad esigenze di natura sociale e generale.

La policy seguita per la gestione delle sedi nelle quali sono svolte funzioni di interesse statale, è articolata; il primo passo è quello di elaborare “piani di razionalizzazione” per utilizzare più efficacemente gli spazi di proprietà, che non significa solo prevedere la definizione delle “tipologie distributive” (standard dimensionali).

I “piani di razionalizzazione” possono comportare, infatti, lo spostamento di “pesi” rilevanti all’interno della città ovvero il rifacimento completo dell’edificio; di norma, per ragioni di economicità si dovrebbe operare con trasferimenti da posizioni “centrali” (non sempre corrispondenti ai “centri storici”) a posizioni “periferiche”, mettendo in gioco componenti della programmazione e della pianificazione della città, prima fra tutte l’efficienza del trasporto pubblico locale e la sua convenienza rispetto alla mobilità con veicoli privati.

Delocalizzare queste funzioni implica pertanto un ragionamento organico con gli organi di governo della città e, comunque, una verifica di coerenza di queste scelte con la programmazione, ad esempio, dei piani del traffico e di quelli dei parcheggi, della programmazione delle aziende pubbliche di trasporti nonché di tutti quegli elementi che realizzano l’“effetto – città” rispetto alla localizzazione di immobili destinati ad ufficio. Andrebbero considerati aspetti come quelli della riqualificazione dei tessuti urbani degradati o periferici che potrebbe essere generata proprio da un corretto mix di destinazioni residenziali, di uffici pubblici e privati e dei relativi possibili indotti di servizio e di attività correlate alle funzioni trasferite (ad esempio la realizzazione di un campus universitario nell’ex Ospedale Psichiatrico Santa Maria Maddalena di Aversa attraverso una sinergia tra società pubbliche e private coinvolgendo gli organi di governo del territorio e favorendo investimenti di capitali privati).

Appare evidente come, rispetto ad un esito positivo di una valorizzazione “complessa” entri in gioco la capacità della città di proporre ipotesi di sviluppo del proprio futuro economico e sociale.

In altri termini, le potenzialità di contribuire alla trasformazione della città, da parte dei patrimoni immobiliari dello Stato è direttamente proporzionale all’esistenza di una politica di governo del territorio nella quale questa potenzialità può essere effettivamente espressa.

Il quadro normativo interviene in materia di gestione, valorizzazione, utilizzazione e dismissione dei beni immobili pubblici, prevedendo la creazione di un sistema integrato di fondi immobiliari, con l’obiettivo di accrescere l’efficienza dei processi di sviluppo e valorizzazione dei patrimoni immobiliari di proprietà degli enti territoriali, di altri enti pubblici e dagli enti vigilati da questi. Tale impostazione risponde all’esigenza di affrontare talune criticità apparse sempre più evidenti negli ultimi anni, con particolare riguardo: – da un lato, alla scarsa disponibilità di risorse finanziarie, da parte degli enti territoriali, per sostenere interventi di valorizzazione e sviluppo del proprio patrimonio immobiliare; – dall’altro, la necessità di disporre di competenze altamente specializzate, in grado di fornire supporto tecnico-specialistico nella strutturazione di organici piani integrati di razionalizzazione e sviluppo immobiliare, finalizzati contestualmente alla riduzione della spesa, alla creazione di valore, alla generazione di entrate.

Il legislatore ha, pertanto, previsto la costituzione, con decreto del ministro dell’economia e delle Finanze, di una Società di gestione del risparmio (SGR), per l’istituzione e gestione di uno o più fondi d’investimento immobiliare (di seguito “Fondo nazionale”), che perseguano, in particolare, i seguenti obiettivi strategici:

  1. a) partecipare in fondi comuni di investimento immobiliare chiusi, promossi da regioni, Province e comuni, anche in forma consorziata, e da altri enti pubblici ovvero da società interamente partecipate dai predetti enti (cosiddetto “Fondi di fondi”);
  2. b) investire direttamente nell’acquisto di immobili in locazione passiva alle Pubbliche amministrazioni, in ottica di razionalizzazione degli usi governativi;
  3. c) partecipare a fondi titolari di diritti di concessione o d’uso su beni indisponibili e demaniali;
  4. d) acquistare immobili di proprietà degli enti territoriali ad uso ufficio o già inseriti in programmi di valorizzazione, recupero e sviluppo del territorio.

La norma, dunque, assegna un ruolo propositivo estremamente rilevante agli enti territoriali, cui spetta il compito di dare avvio ai processi di valorizzazione dei propri patrimoni immobiliari, prestando particolare attenzione agli effetti sociali, ambientali e di impatto sullo sviluppo del territorio. Sono gli enti territoriali, infatti, sulla base di puntuali analisi di fattibilità, a promuovere la costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare (“Fondi territoriali”), a cui possono essere apportati beni immobili e diritti.

Tutto ciò conferma ancora una volta il favor ormai consolidato dell’ordinamento per la costruzione di equilibrate forme di partenariato pubblico-privato, di cui il Sistema integrato di fondi immobiliari rappresenta l’ultima e più significativa evoluzione per il settore immobiliare pubblico.

Gli strumenti finanziari (società, fondi immobiliari) sono riconfigurati, a livello territoriale, come promotori dello sviluppo locale anche in relazione alla necessità di mettere insieme il “capitale territoriale” locale; in ambito nazionale con la costituzione della SGR per l’istituzione di un “fondo” che partecipa a fondi immobiliari chiusi promossi dagli enti territoriali, si configura un soggetto professionalizzato che agisce per supportare i progetti di sviluppo locale che abbiano una credibilità nella loro governance e nelle ipotesi di investimento e di risultato.

Possiamo, quindi, immaginare un’ulteriore frontiera che potrebbe essere l’introduzione di forme competitive e comparative di collaborazione e partenariato pubblico-privato nei meccanismi di promozione della riqualificazione dei tessuti urbani, nei quali sono spesso presenti rilevanti portafogli di immobili pubblici.

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