Atella, quella “Terra Madre” fatta di tradizioni e credenze

Campania – Nei paesi atellani restano, malgrado tutti e tutto, ancora frammenti di testimonianze di simboli e significati. E senza la loro memoria storica fra pochi anni cadranno tutti.  Tremila anni di vicende, di sofferenze, di lavoro, non possono scomparire, né essere dimenticati. La conoscenza del passato serve per conquistare l’originaria identità, per recuperare valori antichi, (ancora validi) per riappropriarsi della originaria cultura, per ritrovare quella urheimat (terra madre) fatta di lingua, credenze e avvenimenti, che hanno fatto del paese la propria patria locale. 

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La conoscenza del passato serve anche per capire il presente, ma ancor più, per poter costruire il futuro. La memoria storica però, non è fatta solo di dotte citazioni ricavate da opere antiche, ma è composta da innumerevoli e diversi tasselli che insieme compongono il mosaico della memoria totale. 

L’archeologia, la numismatica, la toponomastica, l’etimologia, l’economia, la statistica, la linguistica, la sociologia, l’archeologia industriale, possono contribuire alla conoscenza della zona atellana, che fortunatamente conserva ancora reliquie di testimonianze antiche, anche se poche. Un documento d’archivio, o un libro di una chiesa, potranno far luce su un’ intera epoca. I castelli, gli antichi palazzi, ancora ci narrano la storia del paese, cresciuto intorno ad uno di essi. La vecchia fotografia è il documento più prezioso per farci sapere di economia, di immigrazione e di storia del costume. Fino alla seconda guerra mondiale, l’economia della zona atellana, poteva essere ancora una fonte inesauribile per un’opera di archeologia linguistica, musicale e teatrale. 

Dall’ antichissima civiltà degli Osci, inventori del prototipo delle Fabulae Atellane, al vicereame spagnolo, dal reame borbonico al 1950, la zona ha avuto un’economia stabilmente agricola con colture di grano, viti, cereali, alberi da frutta e piantagioni di canapa. Sulla fibra vegetale ricavata da questa pianta, la città di Frattamaggiore basò quasi totalmente la sua economia dal dopoguerra agli anni ‘80. 

Nell’ odierna cittadina a Nord di Napoli, infatti, nonostante la devastazione edilizia di questi ultimi anni, ancora esiste qualche rara testimonianza di archeologia industriale, che ricorda specialmente ai meno giovani, quei processi produttivi e quelle figure come le canapine (mazzère, nel dialetto locale, cioè donne che con particolari mazze di legno, cardavano la fibra) e i funari (operai che intrecciavano i fili realizzando le corde).  

Questo mondo chiuso, attraverso il fiume Clanio, oggi Regi Lagni, appena sfiorato da strade di comunicazione di una certa importanza, non accettò mai passivamente influenze politiche o culturali e quando fu costretto a subirle, prima le fece convivere e poi le assimilò e le rese proprie.Una terra ricca di cultura e tradizioni, che attraverso i suoi casali che un tempo formavano la città di Atella, ci ha fatto comprendere l’ importanza della memoria storica, perchè è solo attraverso lo studio e la salvaguardia del passato, che si potrà capire il  il presente e ancorpiù, costruire il futuro.