L’arte senza tempo di Luigi Panarella

Campania- Per comprendere al meglio l’arte di Luigi Panarella, bisogna per forza di cose attingere alla memoria storica, ritornando alla dittatura del ventennio fascista. Il pittore, nato ad Aversa il 12 luglio del 1915 fu l’unico artista della città normanna a vincere con una sua opera il primo premio alla rassegna i “Littoriali dell’Arte” nel 1937, nonostante il clima di quegli anni non si mostrasse favorevole alle forme espressive e più in generale alla cultura,  non allineate al regime. Nel 1938 partecipò alla Biennale di Venezia con l’opera “La scolara” e sempre in quell’anno realizzò il manifesto per la Festa di Piedigrotta di Napoli. 

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In quegli anni difficili, che videro prima l’attuazione delle leggi razziali e poi l’entrata in guerra dell’Italia, il giovane pittore aversano continuò instancabilmente la sua ricerca artistica, riscuotendo importanti riconoscimenti nel panorama della pittura figurativa italiana. La sua tecnica, infatti, ricorda quella dei grandi protagonisti del Novecento, specialmente quelli delle Avanguardie, come Gino Severini, Carlo Carrà e Giorgio De Chirico. 

 Negli anni che vanno dal ‘35 ai primi anni ’50,  la sua produzione artistica raggiunse l’apice del successo, nonostante il periodo fosse stato attraversato culturalmente dalla retorica fascista che imponeva la rievocazione delle imprese italiche. Una ricerca intensa, profonda ed innovativa, che spaziò dallo studio attendo dell’anatomia a quello dei colori, senza però abbandonare mai, la rappresentazione del mondo reale e della mimesi. In quel periodo, infatti, l’arte figurativa si preparava ad abbandonare definitivamente il figurativismo che aveva dominato tutto il primo Novecento e che era nato dalle ceneri di quel movimento portato avanti da Margherita Sarfatti.  

 La sua pittura sembra essere dotata di un soprannaturale plasticismo che imbarazza e rapisce l’attenzione dell’osservatore. Figure di donne e di uomini che sembrano interagire con chi li osserva; una pittura che racconta i costumi di un’epoca con pennellate che sembrano donare vita ai soggetti ed ai luoghi rappresentati. Nell’opera “Musa” realizzata nel ‘41 e nelle “Bagnanti” del ’42, queste caratteristiche sono espresse in modo mirabile.  Corpi in movimento che danno l’impressione di uscire dalla tela, luce e colori che sembrano essere uniti dalla metrica, come i versi di una poesia. Un connubio perfetto tra innovazione e tradizione, segni convenzionali di tutta la sua pittura.

Spettacolari sono i suoi ritratti di donna tra i quali, “Nudo con mandolino” del ’45,  “Allegoria delle belle arti” del ’37, “Donne al bagno” del ‘40, “Nudo” del ‘70 e “Ninfa” sempre del ‘70. Vanno ricordate per l’intensità espressiva anche opere come “Sera di mezza estate” del ‘71 e “Riposo sulla spiaggia” (collezione privata) ‘75.

 In queste ultime, l’abilità tecnica dell’artista si fonde con un realismo che ricorda la pittura dell’ ‘800 francese ed in particolare le opere di Ingres e di Renoir. La pulizia delle linee, la scelta sapiente dei colori e il pathos espresso dai personaggi dei suoi quadri, rimandano anche l’occhio meno attento a quella  tradizione figurativa che è stata il punto di riferimento di numerosi artisti, attraverso le varie epoche. L’arte figurativa è stata quella corrente che ci ha raccontato iconograficamente gli usi, i costumi e le tradizioni delle  civiltà, attraverso i secoli. 

Infine, vanno ricordate anche le numerose opere di scultura realizzate tra gli anni ’60 e gli anni ’80, tra le quali quella per il  monumento ai caduti della seconda Guerra Mondiale, nella piazza di Trentola Ducenta.

 Un’opera di grande valore espressivo, che raffigura una donna che simboleggia la Madre patria, che ha tra le braccia il giovane figlio morente. In questa scultura l’artista volle onorare la memoria non solo dei tanti militari caduti, ma anche delle numerose vittime civili morte a causa delle rappresaglie e dei bombardamenti. Questa fu l’ultima opera che Luigi Panarella dedicò alla sua terra. Il pittore morì ad Aversa appena tre anni dopo, nel 1983, lasciando un vuoto nel panorama dell’arte figurativa italiana.