Lumen chiude la prima stagione ad Aversa: teatro come rito e rinascita

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Aversa – Al L.AR.TE.S. si è conclusa la prima, luminosa stagione della compagnia Lumen. Quello che questi giovanissimi hanno compiuto non è teatro: è rinascita, rito, rivelazione.

Esistono opere che si guardano. Esistono spettacoli che si ascoltano. E poi esistono miracoli teatrali che si attraversano, come soglie sottili tra il quotidiano e l’eterno.

Lumen – nome che non è etichetta, ma dichiarazione d’intenti – ha scelto di bruciare nel cuore dell’arte, e lo ha fatto con una grazia spietata, con la furia silenziosa di chi sa che il mondo va riacceso a uno a uno, come si fa con le candele in una notte senza luna.

E ora che la prima rassegna si è conclusa, ci si accorge che nulla sarà più come prima. Perché quando dei ventenni alzano un sipario con questa dignità e questa necessità, la città non assiste: si inginocchia.

La chiusura: Desdemona, o la fragilità che spezza il respiro

Tre sere – 9, 10, 11 maggio – e un solo battito d’anima condiviso. Con Desdemona, Sabrina Salzano ha compiuto un atto radicale: non ha riscritto Otello, lo ha disseppellito. Ha spogliato la tragedia da ogni orpello e l’ha immersa nel sangue vivo del presente.

“Quando ho iniziato a scrivere, era appena avvenuto il genocidio di Giulia Cecchettin,” ha raccontato. “Quel dolore è entrato nella scrittura. Ho voluto parlare delle relazioni, non solo d’amore, ma anche genitoriali, amicali. Perché siamo tutti, in fondo, complici della morte di Desdemona.”

E così è stato.

Una discesa nell’abisso emotivo, un dolore narrato con la precisione di chi conosce la bellezza anche nella rovina. Tra le voci che hanno abitato questa nuova Desdemona, due si sono scolpite nella memoria:

Caterina Spennato, che ha prestato corpo e respiro all’anima di Desdemona, non ha recitato: ha vissuto. Ogni sguardo, ogni pausa, ogni silenzio è stato una finestra sul non detto. “Il teatro ci permette di raccontare verità anche se non sono nostre,” ha confidato. E in lei, ogni parola è diventata altare per tutte le voci interrotte. Mario Di Franco, nell’Otello più vulnerabile e umano che si sia visto, ha donato al personaggio un cuore tremante, ferito, reale. “Lumen mi ha fatto scoprire lati di me stesso,” ha detto. “Mi ha acceso.E il pubblico, lo si può dire senza retorica, è stato acceso con loro.