Operazione “Mari e Monti” contro il clan Li Bergolis: 39 arresti

Primo Piano – Si è conclusa questa mattina una lunga indagine condotta congiuntamente della Polizia di Stato, Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza contro i componenti del clan Li Bergolis, una delle più potenti organizzazioni mafiose della Puglia, in particolare del Gargano.

Agli indagati sono stati contestati, oltre al reato di associazione mafiosa, anche i reati di traffico di droga, estorsione, rapina, furto aggravato e favoreggiamento. Sono state eseguite 39 ordinanze di custodia cautelare e sequestrati beni per un valore di 10 milioni di euro a Foggia e in altre località del territorio nazionale.

L’operazione, denominata “Mari e Monti” scaturisce da una articolata indagine, diretta dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari con il coordinamento della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Il clan Li Bergolis, attivo da decenni, è noto per la sua violenza, la capacità di infiltrazione nel tessuto economico e sociale e il controllo di vaste aree del territorio garganico. L’organizzazione criminale è stata in grado di adattarsi ai tempi, passando da una struttura tradizionale a una più moderna e articolata, coinvolgendo anche giovani, molti dei quali minorenni, e infiltrandosi anche nel tessuto imprenditoriale locale.

Originariamente radicato nell’entroterra, il clan Li Bergolis è riuscito a estendere il suo potere lungo le coste garganiche, conquistando il controllo di zone strategiche come Vieste. Questa espansione è avvenuta a seguito di una sanguinosa faida con i rivali storici del clan contrapposto Romito-Lombardi-Ricucci.

L’affermazione dei Li Bergolis ha permesso al clan di entrare nel business del narcotraffico internazionale, instaurando rapporti privilegiati con organizzazioni criminali albanesi e ‘ndranghetiste.

Gli investigatori sono riusciti a ricostruire l’attività criminale del clan per oltre 15 anni: sono emerse le modalità operative dell’organizzazione, le sue alleanze con altre organizzazioni criminali e i tentativi di espansione in nuovi territori, nonché, una realtà fatta di violenze, minacce e omicidi, che ha seminato terrore nel territorio.

Le indagini hanno dimostrato la capacità dell’organizzazione criminale di instaurare un solido sistema di comunicazione interna, anche in ambito carcerario, attraverso l’utilizzo di canali clandestini. In particolare, sono emersi l’impiego di “pizzini” trasportati dai familiari e l’illecito utilizzo di telefoni cellulari. Tale rete di comunicazione serviva a gestire le finanze del clan, fornire assistenza economica ai componenti dell’organizzazione detenuti, perseguire gli obiettivi criminali e promuovere il traffico di stupefacenti.

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