Pier Paolo Pasolini, un uomo scomodo per il potere cinquant’anni fa, veniva ucciso un poeta

Campania – La notte del 2 novembre 1975, veniva barbaramente ucciso all’ idroscalo di Ostia, il poeta, lo scrittore, il regista, l’intellettuale, l’ uomo libero, Pier Paolo Pasolini.  Una grave perdita per il  panorama culturale italiano.

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La morte di Pier Paolo Pasolini, ha lasciato fin da subito un vuoto incolmabile nel mondo della cultura italiana, stravolto dai grandi cambiamenti politici e sociali del post sessantotto. Figura controversa, scomoda e carismatica; pensatore libero, di formazione marxista, fu sempre dalla parte dei deboli e degli ultimi. Mai asservito dal potere, sempre imprevedibile e fiero del suo anticonformismo critico.

Nacque a Bologna il 5 marzo del 1922 da un ufficiale del Regio Esercito Italiano e da Susanna Maria Colussi, friulana, di Casarsa della Delizia. Proprio a Casarsa, si trasferì con la famiglia all’ età di dieci anni. Qui insegnò nella scuola elementare del paese, ma fu costretto a lasciare l’ incarico perchè accusato di molestie, ma più verosimilmente per la sua omosessualità non dichiarata, ma nemmeno mai negata. Dalla piccola e amata Casarsa, (dove scrisse una raccolta di poesie in dialetto friulano) nel 1954 si trasferì a Roma nel quartiere Monteverde, con la madre ed una zia. Proprio nella Capitale, iniziò la sua florida produzione letteraria ed artistica. Appartengono proprio a questo periodo, le opere “Ragazzi di vita”, del 1955 e “Una vita violenta” del 1959, pubblicato postumo nel 1992.

Saggista raffinatissimo, si dedicò anche al cinema, realizzando veri e propri capolavori neo realisti, come: “ Accattone” suo film d’esordio del 1961, “Mamma Roma” del 1962, interpretato da un’ immensa Anna Magnani nel ruolo di una ex prostituta e da un giovanissimo Ettore Garofalo, suo figlio nel film. Seguirono pellicole di grande valore narrativo, ma anche vere e proprie denunce, verso la censura ed il conformismo borghese che soffocavano la libertà di pensiero e soprattutto di espressione. Erano quelli gli anni in cui imperava la dottrina clerico-fascista della Democrazia Cristiana che nel dopoguerra era il primo partito in Italia. Nel 1964, con l’ uscita del film “Il Vangelo secondo Matteo”, subì una condanna e vari processi per immoralità e vilipendio della religione cattolica. Nel 1966 realizzò “Uccellacci e Uccellini” e volle come attori protagonisti il grande Antonio De Curtis, in arte Totò, con al suo fianco un esordiente Ninetto Davoli.

Seguirono rispettivamente nel 1967 e nel 1968 le pellicole “Edipo re”, “Teorema” e “Porcile”. Il 1969 fu l’ anno del film “ Medea”, in cui Pasolini riuscì ad ottenere dalla divina Maria Callas, l’ interpretazione del ruolo della protagonista.  Tra il 1972 e il 1974 realizzò “I Racconti di Canterbury” e “ Il Fiore delle Mille e una Notte”. Il suo ultimo film, prima dell’ epilogo drammatico della sua vita, fu “Salò e le 120 giornate di Sodoma”, del 1975. Oggi, a distanza di cinquant’anni, la figura e l’ opera di questo grande protagonista della cultura del Novecento, ancora non viene valutata come meriterebbe.  Il mondo Accademico, la Scuola, ma anche le Istituzioni che tanto hanno omesso, sul suo brutale omicidio, avrebbero il dovere morale di riconoscere nella sua figura, colui che ha saputo mettere a nudo, i vizi e le virtù degli uomini, cogliendo gli aspetti più crudi e sostanziali della loro meschina esistenza.