Ritorna al Prado, il Caravaggio che incantò la Spagna

Primo Piano – Dopo anni di assenza, nelle sale del Museo del Prado è stato riesposto il “Davide e Golia” di Michelangelo Merisi da Caravaggio. Una perla rara della pittura italiana che risplende tra i capolavori di Velàzquez, Goya, Rembrandt, Rubens, Bosch, Dürer e le altre migliaia di opere non solo del Barocco spagnolo. 

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Come tutti i capolavori del geniale pittore italiano, la tela mostra in maniera inconfondibile i suoi segni distintivi; una potenza espressiva e un rigore tecnico che attirano l’osservatore in una dimensione quasi ipnotica. Il tema mitologico, reinterpretato in una chiave inedita, diversa da quella di qualsiasi altro artista, si mostra ancora una volta con la scelta dei protagonisti estratta direttamente dal mondo reale, consuetudine, quest’ultima di Caravaggio.  Davide, un ragazzotto del popolo, con il suo corpo acerbo e lontano dai modelli di bellezza ideale (come quelli scelti, invece, da Michelangelo e Bernini) che decapita il Golia-Caravaggio. La testa del gigante, infatti, è un autoritratto dell’Artista.  

 L’ opera, esposta nuovamente dopo un minuzioso restauro, è uno dei capolavori assoluti della pittura italiana del Seicento. Dopo un lungo periodo di assenza si mostra al mondo in tutto il suo straordinario splendore, mostrando particolari mai visti prima.  Realizzata tra il 1597 e il 1598, dopo anni di incuria e diversi strati di vernice sovrapposti nel corso dei secoli, l’ opera, realizzata durante il regno di Carlo III di Borbone ed annoverata nel registro delle collezioni della Quadreria Reale madrilena, rivela una bellezza compositiva che abbaglia lo spettatore, come un lampo in un cielo plumbeo. 

L’uso della luce, segno distintivo di Caravaggio, fa emergere le figure dall’ ombra e accende i personaggi mostrando tutta la drammaticità dell’ evento.  Il dipinto è l’ immagine nitida di se stesso: è passione, violenza, dramma, commozione e parte integrante della verità. Esso è esattamente come la sua personalità, messa a nudo in una realtà spietata, implacabile, così come lo era realmente. 

L’ espressione del tormento di un uomo perennemente in conflitto col mondo, dall’esistenza inquieta, arrogante e sofferta. Caravaggio sceglie la figura di Davide adolescente,  concentrato sulla decapitazione di Golia, il cui corpo mostra ancora tutta la tensione muscolare del gesto. La testa di Golia, impressiona per il realismo rappresentativo, nonostante la “nuova espressività” dovuta al suo rifacimento.

 Alcuni studi radiografici, effettuati nel corso del lungo restauro, ne hanno rivelato l’ originaria fisiognomica celata al di sotto di quella che appare oggi. L’ Artista nella prima versione, aveva dipinto la sua testa con occhi e bocca spalancati, in un’ immagine terrificante, che anticipa di oltre due secoli i cicli delle “pitture nere” di Francisco Goya, altro grande protagonista della pittura spagnola dell’ Ottocento.

La scelta di interpretare Golia nel dipinto, è la testimonianza della propria esistenza, vissuta nel  peccato ed alla continua ricerca di quella grazia divina che purtroppo non lo toccò mai. La luce, utilizzata sapientemente dall’ Artista si mostra in tutta la sua forza, rivelando all’ osservatore la sua duplice funzione: quella tecnica, segno distintivo e predominante di tutta la produzione artistica di Caravaggio e quella salvifica, portatrice di grazia divina che assolve l’uomo dal vizi e dal peccato. 

L’opera, di 110,4×91.3 cm è la protagonista assoluta della sala 7A, appositamente allestita accanto al padiglione della pittura Naturalista. La potenza chiaroscurale del dipinto sovrasta tutti gli altri presenti nel padiglione, come la “ Decollazione del Battista”, capolavoro del pittore nostro conterraneo Massimo Stanzione (Orta di Atella, 1585, Napoli, 1656).

Essa fa parte di un ciclo di quattro opere spagnole, il “San Geronimo penitente”, di Monserrat in Catalogna, “Giuditta e Oloferne” e “La Santa Caterina del Thyssen”, entrambe della Collezione della Quadreria Reale. Ancora una volta, l’ Artista esalta la Virtus che prevale contro la forza bruta. Il giovane Davide, in tutta la sua eleganza corporea, dopo aver ucciso con un sasso il gigante, lo decapita.

 La metafora del bene che prevale sul male, del bello che sconfigge il brutto. L’ interpretazione magistrale del racconto mitologico, se pur già visto nell’ arte attraverso le versioni dei vari artisti, nelle varie epoche, mantiene una sua identità inconfondibile: quella di Caravaggio, genio assoluto del suo tempo, personalità  prosaica e dall’ indole violenta. 

Autore censurato, scomunicato ed allo stesso tempo inspiegabilmente amato dalla chiesa, per aver “umanizzato” il Sacro con spirito anticonformista e ribelle. Nei suoi dipinti, infatti, mette in croce contadini, bari, assassini e biscazzieri, rendendo sante anche le prostitute, come nel “Martirio di Sant’ Orsola” del Palazzo Zevallos di Napoli, realizzato durante il suo ultimo soggiorno da latitante nella città, prima della sua morte, avvenuta qualche mese dopo a Porto Ercole nel 1610.