Morte di Marco Scuto: tre associazioni chiedono di costituirsi parte civile. I presidenti: “Ora giustizia”

Primo Piano – «Chiedo solo giustizia per mio figlio. Imploro il giudice di fare il proprio dovere con coscienza, e di non trattare il nostro caso come uno dei tanti fascicoli da evadere per passare rapidamente al caso successivo». A parlare è Rossana Lo Re, mamma di Marco Scuto, il ragazzo di 19 anni ucciso da un’auto a Catania nella notte tra il 18 e il 19 ottobre del 2020.  

Mamma Rossana parla nel giorno in cui si è aperta l’udienza davanti al gip. «Con le nostre associazioni abbiamo chiesto di costituirci come parti civili al processo», spiegano Alberto Pallotti e Biagio Ciaramella, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada ODV e dell’Associazione Unitaria Familiari e Vittime ODV, ed Elena Ronzullo, presidente dell’Associazione Mamme Coraggio e Vittime della Strada ODV, «attendiamo la decisione del giudice, ma nel frattempo possiamo ritenerci soddisfatti poiché, se oggi fosse stato ammesso il patteggiamento o il rito abbreviato, il caso probabilmente sarebbe già chiuso. Invece, c’è ancora tempo perché il giudice analizzi bene la situazione».

«Il giudice», spiega l’avvocato Matteo Tirozzi, del foro di Verona, che rappresenta le tre associazioni davanti al Gip di Catania, «si è riservato di decidere sulla nostra richiesta di costituzione come parti civili. Il solo fatto che ci siamo presentati con le tre associazioni ha generato un certo scalpore sia per il giudice e sia per il pubblico ministero, perché hanno capito come ancora una volta noi siamo su tutto il territorio nazionale e monitoriamo la situazione affinché venga almeno riconosciuta giustizia alle vittime. L’udienza è stata rinviata al 7 ottobre, in quella data il giudice deciderà sulle nostre richieste. Noi ci saremo».

«Ringraziamo i giudici di essersi presi il tempo per analizzare i documenti delle associazioni», aggiungono Pallotti, Ciaramella e Ronzullo, «è giusto che ogni associazione abbia diritto a un coinvolgimento come parte civile. Noi rappresentiamo le vittime e cerchiamo di star loro vicino con i nostri legali, con i nostri tecnici e mantenendo alta l’attenzione su questi casi a livello nazionale. Ora è importante che i giudici lavorino con calma e che si arrivi a una giustizia giusta». 

Nel frattempo, il referente per la Sicilia delle tre associazioni, Pietro Crisafulli, presente oggi in aula accanto alla famiglia Scuto, sta organizzando iniziative sul territorio per sensibilizzare la popolazione e la magistratura. «So che cosa si prova a non avere giustizia», dice Crisafulli, «io non ho avuto giustizia per la morte di mio figlio Mimmo e sto scontando il mio ergastolo del dolore, mentre colei che lo ha ucciso se l’è cavata con una pena irrisoria che non compare nemmeno sul casellario giudiziale. Per questo motivo starò sempre vicino alle famiglie che vivono il mio stesso ergastolo di dolore e lotterò con forza per impedire che accada a qualcun altro quello che è successo alla mia famiglia».

«È giusto che chi ha causato la morte di mio figlio, paghi», dice mamma Rossana Lo Re, «non accetteremo una condanna quasi inesistente, come tante volte accade in Italia. Quello che è accaduto a mio figlio è terribile: quella notte stava tornando a casa dopo una serata con gli amici, quando l’auto che era dietro di loro li ha travolti a una velocità di 110 Km orari in pieno centro abitato. Il responsabile si è deciso ad ammettere di essere lui a condurre l’auto solo alcuni mesi dopo il fatto. Infatti, all’inizio aveva dichiarato che alla guida c’era sua sorella. Ma la cosa che mi procura più dolore è sapere che questo ragazzo ha continuato a vivere la sua vita regolarmente sin dal giorno dopo come se nulla fosse accaduto, magari scorrazzando ancora in giro con la stessa auto con la quale ha provocato la morte di mio figlio, che non è mai stata sequestrata. Non ha mai sentito la necessità e neanche il dovere di una telefonata alla mamma del ragazzo che per causa sua ha sofferto per quasi un anno, per poi spegnersi per sempre. Non un messaggio o una lettera con anche solo due parole: “Mi dispiace”. L’indifferenza nei confronti del nostro dramma ha dato il colpo di grazia al mio cuore e a quello di mio marito e degli altri miei due figli».

 

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