Sono state oltre 5mila le persone che hanno preso parte al tradizionale corteo del Primo Maggio a Trieste. La festa è stata all’insegna del lavoro ma non solo.
Il tema occupazione, ovviamente, è stato al centro della giornata. Tremila i posti di lavoro recuperati in regione nel 2016, ma restano 20mila quelli persi dall’inizio della crisi. Uno stillicidio che ha penalizzato soprattutto i giovani, visto che gli under 34, in regione, sono poco più del 20% degli occupati, 1 giovane su 5, e che al di sotto dei 30 anni la disoccupazione supera il 20%, 8 punti in meno del dato nazionale.
I numeri non parlano ancora di ripresa, e l’emergenza lavoro è rimasto il grande tema del Primo Maggio: un’emergenza non soltanto quantitativa, come spiegano i segretari regionali di Cgil, Cisl e Uil, ma anche qualitativa, perché nasce dalla crescita della precarietà e del lavoro povero. Questo, quindi, il grido d’allarme lanciato dal corteo di Trieste.
«Dopo anni di crisi – ha denunciato dal palco di Piazza Unità d’Italia, Ugliarolo – l’auspicio è che si possa ricominicare a far crescere l’economia, ma per far ripartire il nostro grande Paese ci vuole la collaborazione di tutti, Governo, forze economiche e parti sociali. L’esempio di Fincantieri, – ha concluso il segretario UIL – è la dimostrazione che quando tutte le parti si siedono costruttivamente attorno a un tavolo si possono trovare soluzioni capaci di dare continuità produttiva e occupazionale anche nell’ambito di grandi gruppi a controllo pubblico».
A tenere banco nella giornata della festa dei lavoratori era anche la questione relativa a bandiere e simboli della Jugoslavia di Tito. Questione più che mai attuale dopo la mozione approvata in Consiglio Comunale che vietava l’utilizzo dei simboli ed impegnava il sindaco a denunciare alla Prefettura coloro che si rendevano colpevoli di esibirli durante il corteo.
I confederali dal canto loro hanno bollato come “strumentale” la mozione del Consiglio Comunale ed hanno esortato l’assise cittadina a trovare soluzioni alla disoccupazione giovanile.
Per alcuni gruppi di autonomi i simboli vietati “rappresentano i partigiani italiani, sloveni e jugoslavi che si opposero alla dittatura fascista e nazista e che hanno liberato la città di Trieste. La storia – concludono gli autonomi – non può essere cancellata con le delibere comunali”.
Hanno invece usato l’arma dell’ironia un gruppo di manifestanti che hanno sfilato dietro lo striscione di una nota marca di birra.