Prosegue la sinergia tra l’Orientale e il Duel di Caserta: proiettato in sala “Le stanze aperte”

Caserta – Il multisala Duel Village di Caserta di Silvestro Marino apre ancora una volta le porte ad un incontro- seminario nell’ambito del Laboratorio di Produzioni Audiovisive Teatrali e Cinematografiche dell’ Università Orientale, diretto da Francesco Giordano, che anche quest’anno ha riconfermato il successo della sua formula didattica basata sull’incontro lezione.

I giovani studenti nel penultimo appuntamento in programma hanno assistito, a distanza, alla proiezione sul grande schermo del docufilm “Le stanze aperte” diretto dallo stesso Giordano insieme al fratello Maurizio, presente al dibattito. Si tratta di un lavoro sul tema dei diritti negati e del diverso in un momento storico in cui l’interconnessione globale e i fenomeni contemporanei ci impongono di relazionarci alla diversità, ma in cui l’alterita’ fa paura. Un film che con sensibilità, professionalità, empatia dà voce al silenzio e assume, nei momenti più alti un aspetto onirico, spiazzante, dovuto all’uso  della poesia e di musiche sinfoniche classiche, in rapporto ad un contesto affatto armonico. Squarciare silenzi, stimolare la riflessione sul recupero degli internati e sulla condizione più generale delle carceri, provando ad abbattere i muri tra il dentro e fuori, costruendo ponti, ridestando le coscienze civili dal torpore, ma anche attraverso il mezzo artistico permettere ai detenuti di interrogarsi sulla loro condizione e sul loro vissuto interiore. Tutto ciò, unito ad un’attenta sperimentazione tecnica, nel racconto verità: “Le stanze aperte”, prodotto dalle associazioni Ved e Baruffa film.

La proiezione è inserita nel percorso laboratoriale sullo studio delle produzioni indipendenti allo scopo di presentare un film non convenzionale, che dal punto di vista del linguaggio filmico e dei contenuti, diventa oggetto di studio e ricerca sperimentale di una nuova espressione docufilmica, che tenta la strada del documentario alternativo, coniugando singolari abilità registiche con sapienti interventi di post produzione e vita reale o ricreata. Un film che si snoda su un doppio filo narrativo, reale e sceneggiato ma pur sempre partendo da storie vere, le vite interrotte degli internati dell’ex Opg di Secondigliano, dove nel 2009 ebbe luogo il trasferimento dei detenuti dalla sede di S. Eframo, ritenuto inagibile. La sceneggiatura è affidata a Giuliana Del Pozzo, anche attrice, che a telecamere accese e in qualità di documentarista, come racconta durante il seminario, si è introdotta nell’edificio entrando in contatto con i protagonisti per poter apprendere le vicende quotidiane di una realtà separata dal reale da un perenne muro. Dalla testimonianza raccolta ha costruito un filone narrarivo, che si è sviluppato man mano da una serie di canovacci, pian piano ridisegnati attraverso le storie che incontrava.  Una scrittura narrativa che entra nella mente degli internati, facendosene portavoce ed esprimendo cosi il loro vissuto emotivo rispetto all’idea di libertà  insieme invocata e temuta. Il tanto desiderato ritorno a casa, con tutti i cambiamenti emotivi che ciò comporterà, mostrerà una realtà nuova, antagonista. Come ben mostra il film a dominare all’esterno è la disgregazione delle relazioni sociali e in primis familiari a cui la condizione di internato condanna.

Fondamentale il ruolo guida dell’attore Vincenzo Merolla, unico interprete professionista, che ha trascorso molte ore del giorno con i detenuti, nelle celle, provando a capire il limite della loro libertà, entrando nelle loro teste, confrontandosi con l’alterita’ che in quanto tale fa paura. Dal seminario di Giordano, di cui è ospite, rievoca una battuta centrale del suo personaggio:  “Quando la felicità non la vedi cercala dentro”. È questo il fil rouge dell’opera, una sorta di ricerca, come la definisce Maurizio Giordano “un’operazione pittorica che oscilla tra il bianco e nero, tra la luce e il buio dipingendo la mente dei folli”. Un’alternanza, specchio di quella emotiva, che è mostrata nella fotografia, di grande valore comunicativo, dell’opera.

Il docu-film che ha ricevuto il premio “Parole immagini suoni. Squarciare i silenzi” si può leggere, proprio come la condizione dell’internato interpretato da Vincenzo Merolla, in un’ottica universale.

L’attore non interpreta dunque uno specifico personaggio, non ha una fisionomia psicologica e relazionale propria, ma tra realtà, follia e sogno, incarna metaforicamente una condizione universale e insieme segno dell’anonimato a cui sottostavano gli internati, nient’altro che numeri. “La vita vera è nella testa” afferma l’internato protagonista nel docufilm quasi a rappresentare una condizione in cui i limiti tra fantasia e realtà sono annullati, così come quelli tra reale e sceneggiato nel lavoro dei fratelli Giordano. Merolla nel rivedere il film proiettato sullo schermo si è detto ancora più emozionato della prima volta.

Tanta l’umanità che ha incontrato tra quelle celle e l’ empatia che si è stabilita con i cosiddetti “pazzi” a cui ha dato parola e volto. “L’attore e l’uomo camminano insieme. Ma è importante mettere il bello dell’attore nell’uomo” esclama Vincenzo, che, come lui precisa,  è nato attore, non lo è diventato. Così come nacquero attori De Filippo, Totò, Raffaele Viviani o Troisi, dei quali conserviamo un’eredità umana e artistica straordinaria. Importante però è studiare, “osservare a teatro e attraverso il teatro” perché un talento naturale possa crescere e svilupparsi.

La proiezione e il dibattito sul film ha affascinato e animato un vivace dibattito con gli studenti collegati alla piattaforma e con i giornalisti presenti Luigi Pasquariello e Renato Aiello. Tanti i temi toccati: dalle difficoltà registiche a quelle burocratiche fino alla condizione di quelli considerati malati di mente in paesi come l’Africa, dove non esiste tutela per queste persone, abbandonate a se stesse e ai propri familiari. Un mosaico complesso quello del trattamento psichiatrico della follia che ad oggi mostra molte falle e buchi, in una società spesso cieca e avara, che spinge, sottolinea Francesco Giordano “verso l’isolamento e la distorsione dell’altro”. Un’opera come “Le stanze aperte”, in conclusione, apre la mente e il cuore, spalancando la possibilità di “vedere” oltre le maschere. Ecco che quindi, alla luce della carenza di nuovi film nelle sale, si potrebbe pensare, superando ostacoli burocratici e formali, di vedere il film dei fratelli Giordano proiettato in prossime rassegne cinematografiche.

Collegati al nostro canale whatsapp per restare aggiornato