Un pallido sole che scotta – il diario lirico del viaggio reale alla riscoperta del Mezzogiorno d’Italia

Santa Maria Capua Vetere –  La storia letteraria dell’ultimo secolo ci riporta  racconti di studiosi, poeti e letterati che meglio di altri sono riusciti a descrivere il sud d’Italia con i suoi colori e le sue sfumature in quanto il Meridione  lo hanno vissuto a pieno, ne hanno conosciuto i luoghi  più remoti e, per alcuni, ha rappresentato la scelta volontaria dell’approdo finale.

Francesco de Core, redattore capo del quotidiano “Il Mattino”, nella sua ultima opera- “Un pallido sole che scotta” edizioni Spartaco, collana i Saggi – descrive il suo viaggio nel cuore del Sud, lasciandosi guidare da immaginari appunti di viaggio disseminati tra le pieghe delle pagine immortali scritte dai vari  Camus, Sciascia, Pasolini, Herling, Elena Ferrante.

Un itinerario  reale quello del redattore del quotidiano “Il Mattino” che parte da Africo, in Calabria, tocca Capo Vaticano, Paestum, Salerno, Casertavecchia fino a giungere a Napoli. De Core nella sua riscoperta del Sud coniuga riferimenti letterari e inchiesta giornalistica nel tentativo di evidenziare i chiaroscuri di una realtà troppo spesso semplificata.

 Africo nelle parole di Giorgio Amendola  è il sud del Sud, la Fontamara di Silone; l’esemplificazione della rimozione della questione meridionale come raccontato da Stajano . Dal brigante Musolino ai banditi d’oggi, questa è la terra brulla e senza Stato dei Morabito, dei Bruzzaniti, degli ‘ndranghetisti che dall’Aspromonte partono alla conquista del mondo. Africo Nuovo è il prodotto della mala politica che, dopo l’inondazione del 1951, ha ricostruito la città in riva allo Jonio, sui rifiuti tossici coperti da colate di cemento.

La Calabria di de Core è anche bellezza e mistero. La Certosa di Serra San Bruno   sarebbe l’eremo dove, secondo la ricostruzione di Sciascia, si sarebbe ritirato Ettore Majorana. Forse, come in un giallo senza soluzione, Il fisico catanese prevedendo le nefaste  conseguenze per l’umanità delle sue scoperte sulla fissione nucleare davvero fece perdere ogni traccia di sé confinandosi dietro le mura bianche della Certosa. Probabilmente lo stesso Sciascia in questa “cittadella dei boschi” era alla ricerca di un rifugio dal mondo esterno, di una riconciliazione con il divino.

“Un pallido sole” è, inoltre, un’opera di colori e di immagini come un quadro di Antonio de Core, il padre dell’autore che trasferiva su tela la Casertavecchia scelta da Pasolini per le riprese del Decamerone.

De Core nel suo viaggio on the road pazientemente ritrova i luoghi, gode della stessa luce narrata dai suoi Virgilio letterari, ripercorre le strade e i sentieri, denuncia gli scempi di un’industrializzazione imposta e dissacrante, e racconta i posti attraverso le storie degli uomini che li vivono. Il maestro di boxe Brillantino, narrato in relazione al suo rapporto con lo scrittore Saviano, viene descritto come la forza motrice  della sua Marcianise che  sottrae manovalanza  giovanile alla malavita. La vita del poeta Alfonso Gatto è stata un eterno cantico d’amore per la sua Salerno che non ha saputo ricambiarlo fino in fondo.

L’ultima tappa è la Napoli viscerale e tentacolare, impastata di fango e acqua, che disgusta e attrae i personaggi della Ferrante; la patria di adozione matrigna più che madre di un illustre esule come Gustaw Herling.

Ma c’è davvero una tappa finale in questo saggio letterario sui generis?  De Core al termine della narrazione lascia il lettore con un senso di incompiuto, di irrisolto. Tale percezione è data dalla natura del travel diary che offre uno spaccato di un Sud poco conosciuto e, contemporaneamente, pone l’accento sulla necessità di una ricerca personale, del viaggio come fine ultimo per acquisire conoscenza, dei libri come guide. L’autore cerca di orientarsi nella realtà meridionale ricca di contraddizioni, sfuggente e ossimorica – come d’altronde preannunciato dal titolo- e allo stesso tempo la descrive in maniera dotta, ricercata, proponendo un punto d’osservazione alternativo a quello comune.

Il racconto in alcune parti potrebbe essere tacciato di lirismo se non fosse che, in ultima analisi, l’opera può essere letta come una lunga lettera di denuncia ma anche di speranza e di bellezza che un giornalista del sud scrive per il riscatto della sua terra. Un peccato d’amore di sicuro perdonabile.

Collegati al nostro canale whatsapp per restare aggiornato