Rapporto annuale economia dell’immigrazione: Dati contro la propaganda

E’ stato appena pubblicato dalla Fondazione Leone Moressa  l’VIII edizione del Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione. Oltre al mercato del lavoro e all’inclusione economica degli immigrati in Italia, l’edizione 2018 si sofferma sull’invecchiamento demografico, partendo dall’arcinoto dato che mette l’Italia, con Germania e Giappone, sul podio dei paesi più anziani al mondo, con un saldo naturale negativo costante dal 1993.

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Cosa c’entrano gli immigrati con l’invecchiamento degli italiani?

Secondo l‘Istituto Nazionale di Statistica, in Italia nel 2017 la popolazione residente è diminuita di 105 mila unità rispetto all’anno precedente. Un calo dovuto alla flessione della popolazione di cittadinanza italiana (-202 mila residenti, ben rappresentati dai giovani laureati emigrati all’estero) e che solo parzialmente è stato mitigato dall’aumento della popolazione straniera (+97mila unità). A fronte di oltre 458mila nascite si contano, inoltre, quasi 650 mila morti nell’anno. Nel 2017 gli iscritti all’anagrafe per nascita sono stati 458.151 (in calo di 15 mila unità rispetto al 2016), di cui circa 68 mila stranieri (14,8% del totale), anch’essi in diminuzione rispetto al 2016.

Le conseguenze più ovvie di tale situazione: aumento della spesa previdenziale e sanitaria, aumento dell’età pensionistica, ritardo dell’entrata dei giovani nel mercato del lavoro e del conseguente ricambio generazionale.

C’è chi considera gli immigrati una delle soluzioni per invertire questo trend, vediamo velocemente perché.

L’immigrazione in Italia è un fenomeno vecchio ma non vecchissimo (iniziato 30 anni fa), il dato curioso è che la maggior parte degli stranieri residenti oggi in Italia è giunta nel nostro paese prima del 2008. I residenti stranieri in Italia sono circa 5 milioni (8,5% della popolazione, in linea con gli altri grandi Paesi Ue), mentre i migranti ospitati nei centri di accoglienza sono circa 150 mila (0,3%).

Rimane un problema, perché lo sbarco di 180 mila migranti (picco massimo registrato nel 2016) ha creato il panico e, invece, è passato inosservato che dieci anni fa gli ingressi di lavoratori stranieri erano oltre 100 mila l’anno, con un picco di 470 mila nel 2006?

In Italia, storicamente, le politiche migratorie non sono mai state pianificate e realmente connesse ai fabbisogni produttivi, non è mai stata fatta una vera selezione degli ingressi secondo criteri di competenze, conoscenze linguistiche e professione. Al contrario, le politiche migratorie italiane sono state caratterizzate da periodiche sanatorie, nient’altro che condoni.

La sezione più interessante della ricerca riguarda lavoro e welfare: i 2,4 milioni di lavoratori stranieri (oltre il 10% del totale) hanno un basso impatto sulla spesa pubblica italiana perché i costi dei servizi rivolti a utenti immigrati (sanità, pensioni, scuola, giustizia, ecc.) sono ampiamente coperti dalle imposte e dai contributi da loro versati.

Prendendo ad esempio un settore in forte crisi come quello previdenziale, gli immigrati in Italia sono prevalentemente in età lavorativa (l’età media è 33,6 anni per gli immigrati, contro 45,4 per gli italiani) e, dato che le pensioni di oggi sono pagate dai contributi dello stesso periodo, gli occupati immigrati versano quasi 12 miliardi di contributi, mentre le uscite per pensioni e assistenza sociale superano di poco i 3 miliardi.

Siamo alle solite, i dati reali smentiscono la propaganda che però rimane imbattibile nel creare la generale percezione distorta di insicurezza, invasione e emergenza.

A dirla tutta, mi spiace anche dover mettere sulla bilancia ciò che gli stranieri danno e quello che prendono, si tratta di un meccanismo che, anche se dà risultati così palesi, si basa comunque su una divisione razzista della società. 

Ciò non cancella l’evidenza, che va ribadita con forza, che la nostra società non può permettersi di rinunciare alla forza lavoro immigrata, fondamentale in molti settori economici, edilizia, agricoltura e, per chiudere il cerchio, nei lavori di cura agli anziani.

Giovanni D’Errico
photo credit: Giovanni D’Errico